Venezia, Lynch e due fari puntati nel nulla
Si era detto da qualche parte della Mostra del Cinema, del premio a Lynch, dell'idea di fare un mini-rassegna qui in via Binda 32 su Lynch, ecc. ecc. Alla fine non se n'è fatto niente (come al solito), però un paio di parole su Lost Hghway vanno dette. E non tanto perchè sia il film di Lynch più bello o significativo (quello resta sempre il prossimo). Lost Highway è un insieme di immagini, di momenti, di ombre, di riflessi, di sensazioni che ti colpiscono allo stomaco e ti lasciano senza fiato.
La scena d'apertura, con quei fari puntati sulla strada, è veramente da brividi, semplicissima, banale nella sua anormale inquietudine. Fantastica Patricia Arquette, di una bellezza davvero fastidiosa, irritante. Inutile sprecare parole sull’estetica dolorosa, visionaria e delirante di Lynch, che anche con questo film si riconferma l’unico (per quanto ne sappia io) in grado di raccontare una visione, l’unico in grado si sviluppare una storia togliendo qualsiasi senso al concetto stesso di storia. Quando guardo i film di Lynch, e soprattutto se penso a Lost Highway, ho la piacevole sensazione di trovarmi dentro ad un incubo di Moebius.
Che controllo si può avere della propria vita? Si può riuscire davvero ad essere sé stessi oppure, nonostante tutto, non possiamo essere nient’altro che noi stessi? C'è davvero qualcos'altro che conta nella vita oltre a due fari puntati su una strada buai in mezzo al deserto? Davvero non lo so…
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